Gare e allenamenti intensi possono indebolire le difese immunitarie, in parte dirottate a riparare i danni muscolari causati dall’esercizio fisico. In attesa di poter riprendere l’attività, ci concediamo una riflessione medica con due studiosi: cosa ci insegna la vicenda del runner contaminato di Codogno? Ce lo spiegano gli esperti di fisiologia e nutrizione sportiva Giuseppe D’Antona e Massimo Negro.
Nel giorno in cui il premier Giuseppe Conte ha comunicato il blocco totale di tutte le attività non essenziali, la bella notizia è la progressiva ripresa del cosiddetto “paziente 1”. Mattia, il runner di Codogno, il primo positivo al coronavirus in Italia, respira in modo autonomo e ha anche cominciato a parlare.
La domanda che in tanti si sono posti in questo periodo è come mai un giovane uomo di 38 anni, sano e sportivo, possa essere stato colpito così duramente da un virus come il Covid-19 tanto da rischiare seriamente la vita.
Lo sport non dovrebbe essere un fattore protettivo?
In linea generale un corretto stile di vita abbinato a un’attività fisica regolare non può che consolidare il nostro sistema immunitario.
Cosa dunque è successo al nostro runner?
È bene considerare che Mattia aveva corso due mezze maratone ravvicinate, il 2 e il 9 febbraio oltre a giocare una partita di calcio la settimana successiva quando molto probabilmente aveva già contratto il virus.
Attività fisica intensa e sistema immunitario
A questo proposito l’ISEI (International Society of Exercise and Immunology) sottolinea come l’attività sportiva intensa e prolungata, soprattutto di endurance, sia in modalità acuta (gare), sia ripetuta (allenamenti), possa in soggetti predisposti “indebolire” il sistema immunitario inducendo l’organismo a contrarre con maggior frequenza patologie di natura infettiva. Al contrario, l’esercizio fisico regolare di moderata entità (esercizio fisico salutistico, fitness) sembra “stimolare” il sistema immunitario, esercitando sull’organismo effetti di tipo protettivo.
Gli effetti dell’esercizio fisico ad elevato carico sul sistema immunitario trovano un ampio approfondimento nel testo di fisiologia “Attività Fisica: fisiologia, adattamenti all’esercizio, prevenzione, sport -terapia e nutrizione” (Poletto Editore, 2019) a cura del dottor Giuseppe D’Antona, direttore del Centro di Medicina dello Sport di Voghera – Università di Pavia, che abbiamo interpellato insieme a uno degli autori del lavoro, il dottor Massimo Negro, specialista in nutrizione sportiva.
I virus e il periodo open window
“L’intensa attività sportiva è stata correlata a una situazione di ridotta sorveglianza immunologica di durata variabile (da 3 a 72 ore), denominata Open Window, in seguito alla quale virus e batteri avrebbero accesso facilitato nell’organismo – scrive a riguardo Negro -. Alcuni studi epidemiologici sottolineano come in percentuali variabili di atleti partecipanti a competizioni di endurance (35-65%) ci possa essere un aumento dell’incidenza di sintomatologie come febbre e mal di gola nelle due settimane successive all’evento sportivo. La maratona di Londra del 2010, per citare un esempio, ha fatto registrare sintomi nel 50% dei runner”.
Gare impegnative a breve distanza l’una dall’altra
Il motivo “centrale” per cui può essere rischioso in periodi di emergenza epidemica svolgere gare impegnative (in particolare di endurance: running, bici, triathlon) a poca distanza l’una dall’altra, soprattutto se inframezzate da allenamenti quotidiani o bi-giornalieri di elevata intensità o durata, è legato al fatto che a causa di questi sforzi le prime linee di difesa dell’organismo vengono in parte “dirottate” verso un impegno che non è quello della difesa immunologica. Tali linee di difesa vengono, infatti, indirizzate a livello muscolare per la gestione dei meccanismi di contenimento del danno post-esercizio, della modulazione infiammatoria locale e delle fasi iniziali e intermedie del recupero muscolare, fino alla completa riparazione e ricostituzione del tessuto.
«Tutto questo richiede tempo – spiega D’Antona -, almeno fino a 48 ore dopo ogni successiva gara o impegno sportivo, anche di più se il carico è stato particolarmente gravoso. Se in questo lasso di tempo il soggetto si espone a zone di possibile contagio virale e coesistono condizioni cliniche già predisponenti una possibile aggressione microbica (nutrizione inadeguata, infiammazioni croniche, disturbi del sonno, infezioni batteriche in atto, eccetera), il rischio che si possa contrarre un’infezione virale può essere molto alto.»
«È come dire che pur disponendo di un buon esercito a difesa dell’organismo, parte di questo esercito è costantemente impegnato in altre mansioni e non può essere impiegato a mantenere le prime linee di attacco contro agenti patogeni di varia natura».
Lo sport ai tempi dell’epidemia
Qual è dunque il comportamento da seguire in questo delicato periodo?
«Durante i periodi di emergenza epidemica – concludono Negro e D’Antona -, qualora il legislatore consenta l’attività, il suggerimento è quello di ridurre intensità, durata e frequenza dei propri allenamenti, soprattutto se si avverte maggiore stanchezza e affaticamento mentre è necessario osservare assoluta sospensione dagli allenamenti in presenza di sintomi sistemici come la febbre o che colpiscono distretti, come l’intestino, coinvolti nei meccanismi di difesa immunologia (dolore addominale e diarrea) o a carico delle alte vie aeree (tosse e mal di gola) che possono già essere il segnale di una pregressa infezione».